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Editoriale n°1 (Italiano)


Editoriale n°1 (Italiano)
Nasce oggi una nuova rivista, che abbiamo deciso di chiamare riti col sottotitolo di rivista internazionale per la trasformazione delle istituzioni.

In un contesto dove già abbondano riviste, siti, blog ed aitre forme di manifestazione di pensiero, desideriamo presentarci in modo rituale dando a chi ci legge una prospettiva: perché una nuova rivista? Perché questo nome? Da dove veniamo e in quale orizzonte ci situiamo? E dove vogliamo andare? Cosa troverete in questo numero e nei prossimi?


Vedere il sommario della rivista n°1 


Perché questa rivista, perché farne una nuova?

In un'epoca di continua rincorsa al nuovo, dove la vita delle imprese e delle organizzazioni si nutre di novità assolute, che fanno legge, o a difetto giurisprudenza, osannate alla velocità del fulmine e che con la stessa celerità finiscono «mentovato da pochi, letto da pochissimi», per riprendere quanto il Tasso scriveva a proposito del Trissino (T. Tasso, Discorsi dell'arte poetica, 1587), ci si puo interrogare sui senso di fondare una nuova rivista.
«Già il Trissino, chi era costui?»...
Certamente per chi ancora legge I'Apologia di Socrate trovandovi delle risposte attualizzabili il motore non è la necessità del nuovo a tutti i costi.
Presi coscienza dell'attualità di Socrate ancora giovanissimo, quando il filosofo della Scienza Ludovico Geymonat mi insegno, molto socraticamente, che definire qualcosa in modo assertivo, e una volta per tutte, è già un modo di perdersi.
Per chi scrive, che ha iniziato la sua carriera facendo ricerca e critica letteraria, l'immagine che si impone, quando si parla di una rivista, è quella della crezione letteraria: in letteratura sovente si è fatto del nuovo riadattando il vecchio, raramente si è partiti da zero, al punto che la tecnica della contaminatio (prendere una trama principale e confonderla con una trama secondaria, le due già precedentemente utilizzate) è stata non solo teorizzata, ma vastamente impiegata in letteratura latina. O più in là, quanto ha ripreso Shakespeare dal Boccaccio o quante volte è stato variato e riproposto il tema del don Giovanni?
Questo per dire che esiste, in questa rivista, una distanza rispetto al nuovo, aile novità assolute e agli inventori di teorie appena sfornate, che offre la possibilità di riposarsi su un campo del sapere più vasto, più antico, che traccia una continuità.
In fondo cosa c'entrano Descartes e Spinoza con la moderna neurofisiologia? Eppure Damasio, che questa moderna neurofisiologia incarna più di tutti, scelse questi autori per dialogare nelle sue opere e da loro ispirarsi. E in fondo, in una grande azienda confrontata ad un problema di campagna marketing, sarebbe più consono portare tre riferimenti recentissimi e di discutibile spessore intellettuale, oppure il dibattito tra Descartes e Leibniz sul come ed il perche?
Una rivista quindi non accecata dalla sua disciplina e dalla scoperta, quanto un luogo di incontro e di dialogo di saperi diversi.
Ovviamente, quindi, in primo luogo, una rivista interdisciplinare, trasversale. L'idea di questa rivista è nata un giorno mentre alcuni di noi si interrogavano sui dove e corne proporre dei nostri articoli in vista di una pubblicazione. Da qualunque parte la si rigirasse non riuscivamo a trovare un canale che ci facesse sentire al nostro posto e ci desse la sicurezza di indirizzarci al nostro pubblico. Ci ritrovammo in una situazione che potrebbe assomigliare a quanto scriveva Lapassade a proposito dell'analisi istituzionale. (G. Lapassade, L'analyse institutionnelle, 1971) «le si consacrano, in varie università, quest'anno, dei corsi, dei seminari, dei lavori pratici. È persino di moda. Ma dove alloggiarla? Ovunque e da nessuna parte. Quest'insegnamento non puo essere iscritto -corne d'altronde neppure la psicoanalisi- nella vecchia divisione universitaria del sapere (storia, economia, psicologia, sociologia) poiché l'analisi istituzionale è in relazione con tutti questi saperi separati». Neppure il campo della psicodinamica, soprattutto quando investiga le organizzazioni, puo essere inserito in alcuna suddivisione tradizionale.
Di fronte a chi, per terminologia, campo di studio e comportamento rispetto alla società, ci ha ispirati nei nostri cammini,  ci parve importante seguire il senso della  riflessione. Il risultato è questa nuova rivista. Una rivista interdisciplinare in quanto trasversale, corne da sempre necessita il campo indagato: quello delle organizzazioni. Parlare di azienda, di management, di leadership, di psiche, di emozioni, di rapporti di potere, significa essere ovunque e da nessuna parte al contempo.


E il nome?

Dei riti parla Durkheim (E. Durkheim, Les formes élémentaires de la vie religieuse, 1912): un rito, per esistere, necessita di una tribù che lo asservi e di un mito che possa dargli un senso. Questo tema è stato ampiamente approfondito da Claude Riveline (C. Riveline, La gestion et les rites, 1993). Questa triade si spiega in larga parte da sola. Le ragioni per fada nostra nel nome della rivista sono numerose. In primo luogo ogni elemento è riconducibile alle tre dimensioni (psichica, politica e spirituale) ereditate dalla tradizione del Tavistock Institute. In seconda luogo il mito è cio che consente all'individuo  e alla tribù di rimuovere il traumatismo per continuare a vivere e, se possibile, da li trasformare e questo attraverso il rito (E. Enriquez, L'organisation en analyse, 1992). Infine l'approfondimento di Riveline mette questo triangolo (irrazionale) in stretta interdipendenza con un seconda (razionale): i metodi, la ragione e i team.
Il razionale e il non razionale s'incontrano. Quando il primo perde di senso il seconda prende il sopravvento al galoppo. La relazione tra i due triangoli si presenta, quindi, corne quella tra le emozioni e la primary task di Bion: quella che consente di uscire dalla dimensione emozionale  e permette al gruppo  di lavorare. Il lavoro di chi opera in psicodinamica è prorpio quello: ricondurre l'indicibile all'interno del gruppo per permettere al gruppo di lavorare al suo obiettivo fondamentale e non altro.
I riti sono un mezzo, corne vorremmo lo fosse questa rivista.


E il sottotitolo?

Il sottotitolo racconta la nostra storia, da dove veniamo.
In primo luogo da Wilfred R. Bion e dalla tradizione delle dina­ miche di gruppo. ln questa tradizione si iscrivono Kurt Lewin, Elliott Jaques, Pierre Turquet, Isabel Menzies o ancora A. Ken­neth Rice, Eric Miller e moiti altri. Al contempo, aitre scuole hanno contribuito a comporre il nostro orizzonte. Chi scrive ha avuto corne professore a Sciences-Po Renaud Sainsaulieu e con lui il nostro approccio si è arricchito del metodo della sociolo­ gia delle organizzazioni francese, con Crozier e moiti altri. Da li l'approccio, lo sguardo, che abbraccia l'istituzione, l'interroga­ zione sui suoi disfunzionamenti e le sue modalità, la scoperta dei riti, appunto, che vengono a mascherare l'efficacia dell'organiz­ zazione. Questi due mondi portavano l' analisi, la comprensione e l'ipotesi di lavoro. Cio non bastava ancora. Restava, per dei torinesi che hanno letto Gramsci, la questione di corne queste organizzazioni o istituzioni possano essere trasformate, per ri­ durne i disfunzionamenti e quindi le sofferenze.
Ecco che, un anno dopo l'incontro con Sainsaulieu, avviene l'incontro con David Gutmann portatore dello stesso interrogativo di trasformazione che, a quell'epoca, 1990, era in procinto di risolvere.
Desideriamo scrivere, chi legge lo avrà colto, una storia di influenze e di successive contaminazioni.
Ma procediamo con ordine: non è certo Bion che inizia da zero, tutt'altro, egli definisce con certezza il suo punto di partenza: quanta individuato da Freud, e da lui non sfruttato, diventa il punto di ripartenza di Bion (S. Freud, Psicologia delle masse e analisi dell'io, 1921; Bion, Experiences in Groups, 1961), di cui sono evidenti per tutti le influenze kleiniane. Allo stesso modo i lavori di Isabel Menzies non sarebbero stati possibili senza l'incontro con il bagaglio teorico di Elliott Jaques.
Fu principalmente Gordon Lawrence a portare in Francia il lavoro del Tavistock e le group relations, lavoro al quale aveva già data la sua impronta personale. Fu da questo incontro che David Gutmann diede nascita alla scuola francese chiamata, a partire dagli anni '90, la scuola della trasformazione istituzionale. Più ancora dei fatti precedentemente citati, siamo di fronte ad una grandissima e felicissima contaminatio. Con molto acume egli seppe unire una trama principale (la tradizione del Tavistock Institute  e il lavoro  sulla  vita  inconscia  dei sistemi in senso più generale) ad una secondaria (l'approccio della prospective, contribuzione filosofica di Gaston Berger, scienza dell' uomo del futuro, il cui campo d'indagine è quello dell'interrogazione dei futuri possibili, approccio col quale egli inizio corne consulente).
In altre parole, alla comprensione  delle dinamiche  di gruppo e delle organizzazioni, si aggiunge l'interrogazione relativa al cambiamento ed all'adattamento ad esso, attraverso una parola oggi assai comune a tutti ed allora meno usitata che è quella di trasformazione. È allora attraverso Ifsi che si sviluppa la scuola della  trasformazione istituzionale, alla  quale negli anni, attorno a David Gutmann e Jacqueline Ternier-McConnico hanno partecipato e portato il loro contributo molti colleghi tra i quali Jean van der Rest, Ghislaine Lambert-Foccroulle, Jean-François Millat, Christophe Verrier, Brenda Dean, Erica Stern, Louise Edberg, chi ora scrive, e ancora altri.
In tale modo, Sainsaulieu attraverso i suai scritti, perché ci ha lasciati presto, e Gutmann, attraverso la pratica, sono diventati parte del bagaglio di Motus.
Altre contaminazioni, oltre questi due scenari principali, vengono ad arricchire la nostra riflessione, li potremmo chiamare scenari secondari, e sono: la già citata scuola di analisi istituzionale di Lapassade e Lourau, la sociopsicoanalisi di Gérard Mendel, i lavori di Eugène Enriquez, o l'approccio molto analogo della socioanalisi di Elliott Jaques, o ancora l' approccio di psicologia sociale di René Kaës.
Per una rivista italiana e torinese, lo ricordiamo, il campo della trasformazione non puo essere concluso senza citare le riflessioni e il pensiero di Gramsci e la sempre presente questione della trasformazione della società. Insomma anche noi, ispirati da confluenze e contaminazioni, produciamo a nostro turno le nostre, con malta semplicità e aperti alle future fertilizzazioni esterne.
Il gruppo italo-francese che ha data vita a Motus è stato per anni parte della trasformazione istituzionale e di Ifsi. Questo progetto riti ha necessitato un distanziamento tra le due istituzioni.
Quando si sciolgono gli ormeggi chi parte porta con sé riflessioni, pensieri e ricordi. Chi resta sul molo ha nutrito chi naviga e chi affronta il largo ha in cambio nutrito chi resta.
È giusto che la definizione di trasformazione istituzionale resti con chi l'ha pensata, sicché per noi preferiremo parlare di trasformazione delle organizzazionie delle istituzioni, scegliendo un campo di osservazione più generale della felice intuizione di David Gutmann, con la speranza di continuare ad allargare il campo e mantenerlo sempre trasversale.
Ognuno porta qualcosa con sé, dicevo; di trent'anni di connubio con David Gutmann, di cui gli ultimi (quasi) 20 dilavoro comune, mi porto dietro i miei apprendimenti  e qualche insegnamento, tra cui, al suo cospetto, quello dell'umiltà.


Dove desideriamo andare?

Arrivare a questo giorno non è stato facile; senz'altro per nostri limiti, senz'altro perché creare un prototipo è mille volte più arduo che continuare una casa già esistente, ma non solo per questo, senza dubbio. La nascita del primo numero è stata accompagnata da difficoltà relative ad articoli censurati da accademie o trattenuti, articoli non pervenuti o mai finiti a seguito di sottili inquietudini, da alcuni problemi di salure, da dissensi e separazioni e com'è giusto (non montiamoci la testa), anche molta indifferenza.
Una  rivista  in  un  campo  popolato  da  molti  professionisti e consulenti che perlopiù praticano separatamente il loro mestiere,  qualche volta interfacciandosi con l' accademia,  e in un mondo dove l' accademia, a causa della trasversalità di cui parlava Lapassade, fatica a seguire e codificare, crea sempre uno scompiglio, prima di essere una felice notizia. Questo, crediamo, perché il passaggio da una tradizione orale ad una tradizione scritta è traumatico e rimette in discussione molte cose dette o fatte o supposte. Come direbbe Le Goff: «le società nelle quali la memoria sociale è principalmente orale o quelle che stanno costituendosi una memoria collettiva scritta, manif estano al meglio la lotta per il dominio del ricordo e della tradizione». (J. Le Goff, Memoria, 1978)
La nostra ambizione è dare più spazio al sapere e meno al dominio.
In primo luogo desideriamo una rivista che offra la possibilità di un reale incontro tra il mondo dell'Accademia e quello della ricerca professionale sul campo. Nella tradizione delle group relations è sempre esistita una forte pratica consulenziale. Essa ha per vocazione di comprendere i problemi organizzativi e sociali all'interno delle organizzazioni, spiegarli e (per molti di noi) trasformarli. Ben sovente la ricerca accademica possiede i criteri e le riflessioni teoriche atte a agire sui sistemi, ma non ne possiede le chiavi pratiche. Al contempo, la pratica consulenziale, che vive sul campo, porta la realtà, i fatti, la conoscenza dei sistemi in modo diretto, ma non possiede la legittimità teorica per intraprendere azioni su larga scala o azioni di impatto superiore all'entità aziendale unica, alla quale offre consulenza.
La riunione di questi crea uno scambio atto, a chi lavora sul campo, di nutrirsi di apporti e scoperte nuovi e, a chi ricerca di possedere i dati della realtà che consentono di svolgere atti­ vità consulenziale in modo duraturo.
Il desiderio èche l'unione di questi due mondi porti alla possi­ bilità di agire su una scala maggiormente impattante.

La scelta della lingua è diretta conseguenza della volontà di apertura. Una pubblicazione in 4 lingue offre una possibilità di ascolto e di attenzione internazionale forte. Questo consente di far dialogare scuole di pratica e di pensiero diverse e ottenere contributi e ritorni di maggiore varietà. Come al solito la varietà permette di innovare e importare pratiche e scoperte altrove ap­ plicate o pensate  e adattabili in nuovi contesti.  Questa  ricerca di differenza è la base per una rivista eterodossa, non normati­ va, atta a promuovere la riflessione e l'attuazione sul campo di scoperte diverse. Il plurilinguismo diventa una base per favorire una mondializzazione basata sull'interculturalità e la differenza di pensiero, al contrario di un processo monolinguistico interna­zionale supporta di una mondializzazione indifferenziata.

Per il primo numero la volontà è stata quella di lasciare liberi i contributori di scegliere il tema dell'articolo. In tale modo siamo riusciti ad avere una rappresentanza di autori e di problematiche che vengono dai tre mondi che desideriamo congiungere: la ricerca, la consulenza e la società ed ognuno da ottiche metodologiche o da scuole diverse.
Questo ci ha anche permesso di avere presenti le quattro lingue con le quali desideriamo pubblicare fin dal primo numero.
Nel momento in cui nacque il progetto della rivista Piero Fassino era all'epoca Sindaco di Torino e ci parve importante portare con noi, simbolicamente, la città ; quanto al tema era per noi evidente che, parlando di istituzioni e della loro trasformazione, fosse importante iniziare con un esempio la cui importanza numerica fosse grande e ci portasse a riflettere ad un livello al quale, nel mondo consulenziale o accademico, siamo meno abituati, quello del macro, dove milioni di persone vengono implicate in un processo trasformativo. Nasce cosl il progetto di interrogarsi sul lungo processo trasformativo del P.C.I.
Questa inchiesta, fatta di un'intervista e di un' analisi, ha preso una largo spazio. È stata una scelta necessaria: il macro ha bisogno di tempo, di spazio, di spiegazioni. È stata anche una scelta di fedeltà aile radici. Il P.C.I. non nasce a Torino, ma Torino ne sarà una parte costitutiva fondamentale. A Torino si sviluppa il pensiero di Gramsci, a Torino egli vi fonda la rivista Ordine Nuovo nel 1919. Molto della storia del P.C.I. si svilupperà nella Torino operaia e nel Piernonte operaio e molto anche del processo di trasforrnazione, attraverso la relazione alla F.I.A.T.
Il P.C.I. e la F.I.A.T. s'intrecciano e insierne raccontano un pezzo importante della storia d'Italia degli ultirni cento anni.
Nella storia di questo partita, cos'i corne la presentiarno nella rivista, vi sono stati dieci segretari o leader, di questi ben sette provenivano dalle frontiere del vecchio Regno Sardo, con capitale Torino, cos'i corne le ridisegnà il Congresso di Vienna: Gramsci, Togliatti, Longo, Berlinguer, Natta, Occhetto e Fassino (solo Bordiga, D'Alerna e Veltroni possiedono, o possedevano, origini regionali diverse). In questo articolo vi è anche molto delle nostre radici e della nostra storia.
Naturalrnente, infine, era importante sottolineare il legarne con Gramsci e la concezione stessa della trasforrnazione, quella della società. Questo intenso lavoro si è rivelato fertile, facendo nascere in Piero il desiderio di scrivere la storia del carnrnino del P.C.I., tra il 1921 e il 1991, anche in una versione storica e politica.
Gli articoli di Kiran Trehan e Jean-Claude Casalegno vengono da uno sguardo psicodinarnico del monda della ricerca, i due portando una riflessione sulle organizzazioni econorniche: la rnicro-irnpresa dell'irnprenditoria delle rninoranze etniche per Trehan, la questione della disistituzionalizzazione delle grandi organizzazioni per Casalegno. I loro carnpi di indagine sono molto differenti, opposti, la capacità della micro irnpresa da una parte, e l'investigazione sulla rottura del legarne istituzionale tra il singolo e le grandi istituzioni, e i due parlano di un essere  atornizzato,  solo, obbligato  a trovare le sue proprie soluzioni.
Anche Laurent Bibard viene dal monda universitario, un campo di indagine <love la filosofia e il management si incontrano. Abbiarno trovato di fondamentale irnportanza pater contare su una riflessione sull'etica, nell'esercizio del nostro rnestiere. Ancor di più, quando si dà spazio ad una rivista interdisciplinare, trasversale, dove i punti di riferirnento e di contenirnento sono mena evidenti e fissi, in quanta non più cornuni a una disciplina o a un pensiero dominante. La riflessione si adatta bene a corne il singolo stesso puà prendere il proprio ruolo in modo etico e di conseguenza perseguire il proprio rnestiere con serietà e contenirnento.
Infine un articolo scritto da vari consulenti sui serninari  brevi e la particolarità del ruolo dei consulenti in quel tipo di evento. Questa iniziativa viene da un gruppo di lavoro  di Motus,  dove il compito fondamentale era proprio quello di condividere esperienze, rnetodologie e interrogazioni quanta al rnetodo e all'etica. Parallelarnente al lavoro del gruppo di autori il primo nurnero stava nascendo e questo ha perrnesso una singolare esperienza di scarnbio e contarninazioni reciproche tra gli autori. Ancora una volta, la riflessione sul rnetodo el' etica del consulente ci pareva essenziale per il nostro primo nurnero. L'articolo è stato scritto nella lingua di lavoro con la quale i consulenti hanno lavorato, lo spagnolo, riunendo realtà professionali del nord­ Europa, rnediterranee, alpine e latino-arnericane, in un gruppo di donne e di uornini.
Il molto piccolo, il molto grande, la società ed il peso  della storia, l'etica e il lavoro di gruppo. Una riflessione larga e ricca di differenze, per incorninciare il nostro carnrnino.


E per i prossimi numeri?

A questa dornanda risponderà con un invita, quello di avere dei contributi, che portino nuove riflessioni per i nurneri a venire. Intanto, ora che le turbolenze di cui parla Le Goff si stanno placando, vi invitiarno a visitare il nostro sito, dove assai rapidarnente saranno reperibili gli articoli in lingua originale e, a breve, tradotti.


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JC Casalegno
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